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I pareri dei nostri lettori
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Divertente, avvincente, ma anche istruttivo, quasi un
case history di buon management.
"Comunicare è la cosa più difficile del management e
probabilmente della vita stessa". Parole sante.
Franco M. |
Voglio il modello matematico che sottende RayCube e anche la
sua interfaccia grafica! Dovrebbero darlo come libro di
testo alla facoltà d'informatica.
Cecilia B. |
Una fantasia esplosiva, ci sono così tanti temi in questo
libro che la trama descritta sul sito non gli rende
minimamente giustizia. Il mondo dei samurai è descritto così
minuziosamente che il solo personaggio di Akira avrebbe
meritato un romanzo intero.
Straordinario, da non perdere.
Giovanni V. |
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Lazlo Wishinsky è uno studente della
Bocconi. Fidanzato con una ricca milanese, Giangi Sforza, è al
secondo anno della laura magistrale in Economia e Scienze Sociali.
Grande matematico, buon programmatore e appassionato di future
studies, ha sviluppato un sistema previsivo innovativo denominato
S2ES (Strategic Scenarious Expert System) che sta dando i primi
risultati positivi, facendogli vincere delle belle somme al
totocalcio.
Durante una sperimentazione scientifica chiede al sistema di
realizzare una previsione a vent'anni sulle quote di mercato dei tre
principali sistemi operativi concorrenti nel mondo del personal computing, ossia Windows, Linux e Apple. Il sistema dopo una lunga
elaborazione assegna allo sconosciuto B2 una quota dell'ottanta
percento. Pensando a un errore di elaborazione, Lazlo cerca la fonte
sulla quale S2ES si è basato per giungere a quella sorprendente
proiezione. Si ritrova così nel sito della Melting Pot una piccola
software house milanese dedita allo sviluppo di un unico videogame
intitolato Save the Earth!
Il racconto prosegue con un flash back ad alcuni mesi prima nella
sede della Melting Pot, il cui fondatore e principale azionista è
Jack Stock, un americano ex-dipendente della Microsoft e fanatico
ammiratore di Bill Gates. Gli altri soci della Melting Pot
provengono rispettivamente dalla Norvegia (MoonRay), dalla Nigeria
(Mandrake), dalla Corea (Storm) e dall'Italia (Swatch). Nel corso
delle battute finali dello sviluppo del videogame, Swatch, che è un
ricercatore dell'Istituto di Metodi Quantitativi della Bocconi,
annuncia di aver scoperto un algoritmo di compressione in grado di
fungere da modello di un rivoluzionario sistema operativo in grado
di surclassare in termini di prestazioni il sistema Windows della
Microsoft. Il progetto viene battezzato B2, dalle iniziali dello
slogan Beat Bill (dove Bill è il Bill Gates della Microsoft). Il
nuovo sistema (oltre 200.000 volte più veloce degli attuali personal
computer che utilizzano Windows) è concettualmente molto diverso da
tutte le attuali architetture informatiche e richiede pertanto lo
sviluppo di un apposito hardware, molto meno costoso però degli
attuali processori della Intel.
Ma un’Organizzazione di spionaggio industriale ha messo gli occhi su
B2 e per averlo è disposta a tutto, anche a uccidere…
Scarica i primi capitoli
di questo romanzo. |
Per chiunque si
sia occupato per passione o per professione d’informatica, Bill
Gates, il fondatore della Microsoft, resta e resterà uno dei
personaggi più amati e più odiati di tutti i tempi. Chi non ha
imprecato contro gli errori di Windows, scagli il primo bit! Eppure
è solo grazie a Bill e al suo monopolio se oggi miliardi di PC
sparsi nel mondo si scambiano informazioni e file che tutti sono in
grado di leggere.
È da questa contrapposizione che nasce BFiction, ambientato non in
un campus tecnologico, ma in quello della più importante università
di economia e management italiana e europea, la Bocconi di Milano.
Questo romanzo, un thriller tecnologico teso e denso di accadimenti,
oltre al tautologico obiettivo di raccontare una bella e avvincente
storia, vuole solo ricordare che in questo mondo, nulla e nessuno è
per sempre.
Nemmeno la più grande corporation e l’uomo più ricco del
mondo, possono dormire sonni tranquilli, perché da qualche parte,
magari in un sordido scantinato, un brufoloso ragazzotto sta per
avere un’idea che scardinerà il loro business dalle fondamenta.
Questa è innovazione e, alcune volte, questa innovazione non
necessita nemmeno di budget miliardari, ma solo e soltanto di
ingegno e olio di gomito.
Però Bill, ancora una volta, ci ha fregati tutti e si è messo, anima
e corpo, nel più bel business esistente: quello di aiutare gli
altri. Bravo!
Leggete i primi
capitoli di questo thriller tecnologico
e appassionatevi alla storia, così poi, magari, comprate il libro. |
dal quarto capitolo
Webmaster 00
La vita, a volte, appare da una prospettiva inattesa, come quando,
passando per una via notiamo lo scorcio di un palazzo che solo da
quell'unica posizione si mostra nella sua vera bellezza. Eppure, in
quella via ci abitiamo o lavoriamo da anni. Scherzi della
prospettiva…
Steven Kaukonen aveva stampigliato sul volto quella stessa sorpresa,
mentre la sua segretaria gli era seduta a cavalcioni sul torace e
gli premeva la canna di una Glock sotto la mandibola. Sdraiato sulla
moquette del suo ufficio, le apparve da una prospettiva davvero
sorprendente.
Conosceva Elizabeth Hurley da almeno cinque anni ed era sempre stata
premurosa ed efficiente nei suoi confronti. Oltretutto sembrava non
avere una vita privata, cosa che agli occhi di un capo è quanto di
meglio si possa chiedere ad un'assistente. Bruttina, con gli occhi
resi goffamente enormi da un paio di robuste lenti da miope,
Elizabeth non era mai stata causa di un problema, almeno fino a
cinque minuti addietro quando, con una ginocchiata all'inguine,
l'aveva atterrato e gli era saltata addosso."La password del server" gli stava chiedendo con la voce resa
stridula dalla tensione, mentre aumentava la pressione della Glock
sotto il mento "dammela subito o ti ammazzo, brutto… pezzo di
merda".
"Ma Elizabeth…"
Le parole gli finirono in un fiotto di sangue perchè lei, senza
provare alcun orrore per quello che stava facendo, gli aveva
fracassato il labbro inferiore con il calcio della pistola.
"La password" ripeté accompagnando le parole con un sorrisetto di
soddisfazione.
Kaukonen, che aveva passato gli ultimi trent'anni, seduto davanti a
spettrografi e microscopi elettronici, non era preparato alla
fisicità di quella situazione e, farfugliando per il sangue e il
dolore che gli stavano riempiendo la bocca, gliela diede. Elizabeth,
senza staccare la pistola dalla gola di Kaukonen, si alzò e con il
braccio sinistro proteso verso la scrivania digitò il codice
alfanumerico sulla tastiera del PC. Non appena sul video apparve la
schermata dell'applicazione di Project Management, Elizabeth affondò
ancor più la Grock nel collo di Steve e, senza tradire la minima
emozione, tirò il griletto.
Quando il suono dello sparo attutito dal silenziatore ebbe finito di
percuoterle le orecchie, della faccia di Kaukonen era rimasto poco.
Il proiettile era uscito dalla protuberanza metafisica sinistra,
trascinando con sé il bulbo oculare del lato opposto, uno di quegli
strani giochetti che solo la balistica applicata all'anatomia è in
grado di creare.
Elizabeth, che prima di allora non aveva mai sparato un colpo
nemmeno ad un baraccone del Luna Park, si alzò e andò a vomitare nel
cestino della carta straccia.
Poi girò attorno alla scrivania e, tentando di non guardare più in
direzione del cadavere, si sedette davanti al computer.
Le mani le tremavano così tanto che faticò a lungo prima di riuscire
a costringere il puntatore del mouse a raggiungere il menu dei file.
L'Organizzazione le aveva detto di copiare e cancellare dal sistema
solo i file relativi a RX28CGI, quello che lei aveva sempre pensato
essere il principio attivo di una nuova, straordinaria molecola
antitumorale, ma che invece Akira, l'agente con la quale era in
contatto, le aveva spiegato essere una micidiale arma
batteriologica.
Elizabeth guardò l'ora. Le rimanevano solo pochi minuti, poi sarebbe
passata la guardia per la consueta ispezione.
Che Steve Kaukomen e la società per la quale lei stessa lavorava
fossero al servizio dei terroristi islamici, era stata una
rivelazione che le aveva sconvolto la vita. Per fortuna sua e del
mondo intero, Akira le aveva aperto gli occhi.
Nauseata e terrorizzata, non si era presentata al lavoro per
un'intera settimana e, probabilmente, non vi avrebbe più fatto
ritorno se il suo amante non le avesse offerto quell'opportunità per
salvare se stessa e il mondo da l'ennesimo orrore. Per questo Steve
Kaukonen era morto: per non lasciare traccia alcuna di quella
mostruosità.
Elizabeth infilò i due CD nella tasca della giacca e uscì
dall'ufficio di Kaukonen riuscendo ad evitare che il suo sguardo
cadesse nuovamente sul cadavere. Spense le luci e socchiuse la porta
che dava sul corridoio.
Sentì subito il rimbombo dei passi della guardia che stava
percorrendo il suo solito giro d'ispezione. Le dita della mano
destra strinsero ancora più forte il calcio della Glock. Akira
l'aveva preparata anche a quell'evenienza: anche se sapeva che si
trattava di un'innocente che con tutta quella sporca faccenda
centrava tanto quanto lei, non avrebbe esitato ad ucciderlo.
Richiuse la porta e si nascose dietro ad un armadio. Pochi secondi
dopo vide la porta aprirsi e la mano della guardia tastare il muro
alla ricerca dell'interruttore.
Lo sguardo corse alla porta che divideva il suo ufficio da quello di
Kaukonen: l'aveva lasciata spalancata! La guardia avrebbe visto
subito il cadavere. In quello stesso momento seppe che avrebbe
commesso il suo secondo omicidio.
La luce si accese e l'uomo, per fortuna uno che non aveva mai visto,
entrò nella stanza. Elizabeth uscì dal nascondiglio con la pistola
tesa davanti a sé. Si trovava a meno di mezzo metro dalla testa
della guardia: non poteva sbagliare. Mentre premeva il grilletto
vide il terrore dipingersi sul volto dell'uomo, anche se non riuscì
a capire se era dovuto alla vista del corpo esamine di Steve o della
Glock puntata verso la sua tempia. Ancora una volta i suoi sensi si
saturano della detonazione soffocata dal silenziatore e dell'odore
della polvere da sparo.
La prima reazione di Elizabeth fu quella si spegnere la luce, non
perché qualcuno la potesse vedere, ma perché era lei a non voler più
vedere.
Un rantolo. La guardia era ancora viva.
Il corpo ostruiva la porta ed Elizabeth, per la prima volta in tutta
quella lunga serata, non sapeva cosa fare. Prima di essere colpito
era riuscito a vederla in faccia? Stava morendo oppure la sua era
soltanto una ferita grave, ma pur sempre solo una ferita?
Incomiciò di nuovo a tremare. Non era più sicura di niente. In preda
al panico si avvicinò alla porta e trattenne il respiro. Silenzio.
Anche la guardia aveva smesso di rantolare. Forse era morta.
Trattenendosi a stento dal mettersi a correre scavalcò il corpo con
il piede destro e sbirciò fuori della porta. Nessuno: il corridoio
era deserto.
Si diede una spinta con la gamba sinistra, facendo attenzione a non
incespicare nella guardia. Prima di mettersi a correre verso la
scala antincendio, si tolse le scarpe. Non voleva che l'altra
guardia che sapeva, sarebbe passata da lì a poco, potesse sentirla.
Aveva già mosso il primo passo verso la sua via di fuga quando si
sentì trattenere per una gamba. Ad Elizabeth sfuggì un urlo. Tentò
di divincolarsi ma la mano della guardia era avvinghiata alla sua
caviglia e l'uomo aveva cominciato a rantolare qualcosa.
Terrorizzata si voltò, abbassò la pistola e sparò più volte verso in
direzione corpo fin quando non si sentì libera dalla stretta.
Subito dopo sentì dei passi concitati provenire dalle scale e la
voce di un uomo, di certo l'altra guardia, che urlava qualcosa.
Raggiunse la scala antincendio e senza voltarsi indietro cominciò
precipitosamente a scendere. Le urla erano sempre più vicine.
Elizabeth percorse le tre rampe senza nemmeno accorgersi dei tagli
che il metallo dei gradini stava infliggendo ai suoi piedi scalzi.
Quando arrivò in cortile, la guardia si era appena affacciata sulla
scala.
Come la vide, le intimò di fermarsi. Elizabeth si mise a correre
verso la via di fuga prestabilita, una porta di metallo ormai in
disuso che dava sul retro della fabbrica. Nei giorni precedenti se
ne era procurata la chiave e Akira, una notte, ne aveva verificata
l'apertura.
Uno sparo. Sentì la pallottola che andava a conficcarsi nel muro,
pochi metri avanti da dove si trovava. Lei continuò a correre, senza
nemmeno seguire l'istinto di abbassare la testa. Akira era lì fuori
che l'aspettava con il motore acceso. La porta si spalancò e apparve
la figura del suo amante. Mancavano ormai pochi passi ed Elizabeth,
nonostante un'altra pallottola le fosse passata a meno di un metro
dalla spalla, gli sorrise. Era il primo uomo che l'aveva davvero
amata, era la sua vita, il suo futuro…
Akira allungò il braccio e lei fece lo stesso. Ancora un passo, le
due mani si sarebbero congiunte e lui l'avrebbe tratta a sé.
Elizabeth si sentì spingere per le spalle, come se qualcun altro
fosse giunto ad aiutarla. Quando rovinò addosso ad Akira, il
proiettile sparato dalla guardia le aveva spezzato la colonna
vertebrale ed era già penetrato nel cuore.
L'ultima cosa che avvertì fu la mano di Akira che le frugava nelle
sue tasche alla ricerca dei CD.
Il giapponese adagiò il corpo esangue della sua amante sul selciato,
prese la Glock che lei stringeva ancora fra le mani, la alzò in
direzione della guardia e, senza nemmeno fermarsi per prendere la
mira, sparò un colpo solo che raggiunse l'uomo alla testa. Lo guardò
precipitare dalla scala antincendio, finché non sentì il tonfo del
corpo sull'asfalto del cortile.
"Questo" pensò " per avermi tolto il piacere di ucciderla con le mie
mani".
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