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Hic sunte leones di Fausto Pasotti - Milano 2010 · Pagine: 164 - Prezzo: 5 euro


 


I pareri dei nostri lettori

Peccato finisca così in fretta. Attendo il seguito.
Davide E.

Sono una musicista di professione e la Musica descritta in questo libro spero esista davvero se non in questa vita, almeno in un'Altra.
Luisa S.

La Musica di un Dio che dopo aver constato di quali scempi sono capaci gli uomini affida a un proprio Eletto il compito di porre rimedio ad alcuni dei possibili errori dell'Umanità. un'idea e una speranza davvero brillanti.
Rita D.

 

 

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Scarica gratis 90 pagine delle 164 pagine di cui si compone il libro
La sinapsi Il punto di vista dell'autore


Nicolas Redondo II è uno studente universitario, nato a Paese, un luogo così insignificante da non meritare nemmeno un nome. Figlio di Nicolas I, uno strampalato inventore diventato ricco ideando il Pentariciclopoltigliatore per l'Azienda della Nettezza Urbana di Lomina dove la famiglia si è trasferita da qualche anno, trascorre le vacanze estive nel paese natio facendo lunghe escursioni sui monti che circondano Paese. Durante una di queste passeggiate conosce Francois Antoine Claudet, uno dei padri della fotografia, che gli rivela di avere oltre duecento anni e lo inizia ai misteri della Musica di Dio che conferisce agli eletti, ossia ai pochi in grado di ascoltarla, straordinari poteri.
Investito di una missione troppo grande per la sua giovane età, Nicolas scoprirà come la Musica si sia rivelata per la prima volta a Henri Purcell il più illustre compositore classico britannico e come lui ne abbia poi trasferito i poteri al vecchio fotografo. Nicolas imparerà a volare alla  velocità della luce, a viaggiare nel tempo. La sua nuova missione lo porterà a combattere contro feroci e spietati terroristi, ma lo condurrà anche all'amore, fino a un sorprendente finale.


Scarica i primi capitoli del libro.


Hic sunt leones è una favola dedicata a quegli adulti cui piace ancora sognare.
Se devo pensare a un aggettivo per questo mio scritto, la prima parola che mi viene in mente è leggerezza, quella caratteristica ben descritta da Italo Calvino nelle Lezioni Americane e che pervade tutta l'opera di Mozart.

Magia, religione, avventura, humor e amore: quanti sono i principali ingredienti di questo libro. Chissà se la ricetta è venuta bene? Scaricate i primi capitoli del romanzo gratuitamente e giudicate voi.  

 

L'assaggio  


dal primo capitolo
Paese.


Quando nacque, suo padre piantò una quercia in giardino. Si trattava di un'idea balzana perché era un piccolo appezzamento di terreno, appena sufficiente a coltivare qualche pomodoro e il lattughino di cui era ghiotta la loro tartaruga e che col passare degli anni non avrebbe potuto far altro che minare le fondamenta della loro miserevole casa.
Ma il padre, Nicolas Redondo I, era un uomo di ampie vedute e, nonostante a quarantanni fosse ancora un mediocre impiegato comunale, confidava in un radioso futuro dove lui, diventato ricco con una delle sue improbabili invenzioni, avrebbe potuto permettersi di acquistare il terreno prospiciente il suo piccolo giardino, dove la quercia avrebbe potuto prosperare indisturbata.
Questa, come tutte le sue altre fisime e stramberie, fu oggetto di scherno e dicerie in paese, un paese così piccolo e isolato, che non possedeva nemmeno un nome e che sulle mappe geografiche era indicato semplicemente con il nome di Paese.
Paese, in realtà, non aveva nemmeno un centro degno di tale nome, perché la Casa Comunale si ergeva isolata su una collinetta a sud e anche la chiesa e la scuola si trovavano, geograficamente parlando, alla periferia nord del piccolo agglomerato di case e cascine che costituiva il paese.
Al centro del paese, anche se nessuno vi attribuiva alcun significato, c’era una vecchia fontana scavata nella pietra con accanto una panchina anch’essa ricavata dalla roccia, sulla quale, ogni tanto e solo nella bella stagione, sostavano a chiacchierare gli anziani. Ma non si trattava nemmeno di una piazzetta, ma solo di uno slargo all’incrocio fra due vie.
Insomma Paese era per molti versi un luogo strano, un non luogo, sorto senza alcun apparente disegno urbanistico o funzionale, in cui le case erano separate l’una dall’altra da ampi appezzamenti coltivati.
I Paesani, infatti, erano per la maggior parte dediti all’agricoltura e all’allevamento, se si escludevano un paio di commercianti, Nicolas Redondo unico impiegato comunale, e i dipendenti della locale cooperativa che si occupava di vendere quanto veniva prodotto in Paese ai mercati generali di Lomina, la capitale economica della nazione, che distava un paio di centinaia di chilometri.
La vita, l’economia e la demografia di Paese erano tutte qui.
E si sa, se il paese è piccolo, la gente mormora più facilmente. E di Nicolas I, si diceva di tutto.
Impiegato modello, efficientissimo, sempre disponibile, Nicolas I, nonostante il suo comportamento lavorativo irreprensibile, era malvisto dai suoi concittadini perché se ne andava in giro con le braccia sempre ingombre di cianfrusaglie per le sue invenzioni e nella sua insita generosità, aveva realizzato per la comunità, a titolo completamente gratuito, alcune innovazioni che per poco non avevano rischiato di distruggere la Casa Comunale. Come quella volta che si era messo in testa di dotarla di un impianto di energia eolica, sistemando una vetusta pala da mulino sul tetto del già claudicante edificio pubblico, senza tenere in debito conto che quella collina era oggetto di furiosi venti notturni dei quali nessuno si era mai accorto prima.
La mattina dopo la pala e il tetto della Casa Comunale erano stati trovati a più di tre chilometri dal Paese, dopo che avevano mietuto nel corso della notte un intero campo di grano, ancora immaturo.
Purtroppo per lui, il campo apparteneva a Lurisio Aldeous, il più ricco di Paese, un uomo solitario, avaro e per nulla bendisposto verso il prossimo. Mi ripagherai di tutto, imbecille che non sei altro. Lavorerai nei miei campi la notte, fintanto che non mi avrai ripagato del danno subìto, gli aveva ingiunto il vecchio.
Nicolas I, aiutato solo dalla moglie, aveva allora dovuto improvvisarsi carpentiere per riparare il tetto della Casa Comunale. Aveva passato tre mesi d’inferno lavorando diciotto ore al giorno, fino quando il tetto della Casa Comunale era tornato alla sua antica miseria e il debito con Lurisio era stato saldato.
Quella notte lui e sua moglie Miranda avevano festeggiato la fine dell’incubo e, sarà stato forse per la bottiglia di vino d’importazione o per la pasta e fagioli piccante che riuscì loro quel che non era riuscito in oltre quindici anni di matrimonio, concepire un figlio.
Nicolas II era nato in casa, in una fredda mattina di dicembre e la sua venuta, insperata e inattesa, per poco non aveva causato la dipartita di Miranda, ormai quarantenne, un donnino ossuto, ma che Nicolas I adorava come fosse la Venere del Botticelli.
Nicolas II, per fortuna, aveva preso dal padre ed era cresciuto grande e forte come un cavallo da tiro e, come il padre, aveva un'insana tendenza a fantasticare. Se il padre aveva limitato il proprio campo d'azione ai piccoli oggetti domestici o poco più, la sua più grande trovata riguardava un impossibile sbucciapatate idraulico che riusciva a spellare un tubero a fronte di un consumo di ottantaquattro litri d'acqua, Nicolas II aveva deciso di non porre limite alcuno alla provvidenza divina e le sue elucubrazioni avrebbero spaziato dall'arte alla finanza, passando per quella che lui avrebbe un giorno chiamato ingegneria sociale.
A dieci anni Nicolas II era già più alto di sua madre e aveva uno sguardo fiero che incuteva timore in chi lo incontrava. Sapeva di essere figlio di quello che tutti in paese consideravano un pazzo furioso ed era quello il suo modo per distogliere le loro occhiate curiose e fra loro ammiccanti.
Nicolas II, a differenza del padre, teneva per sé le proprie fantasie e nessuno in famiglia immaginava che dietro a quello sguardo altero, nel suo cranio incorniciato di folti e lunghi capelli neri, prosperasse un tripudio di pensieri, invenzioni e fantasie degne di un Jules Verne.
Gli unici momenti in cui Nicolas II lasciava trasudare qualcosa era quando scriveva i suoi lunghi componimenti scolastici.
È un ragazzo al quale non manca certo la fantasia, cara Miranda, aveva detto la maestra, ma qualcuno gli dovrebbe spiegare che non è con quella che riuscirà a mangiare in questo paese.
Ma per fortuna di Nicolas II, quando lui di anni ne aveva dodici, la famiglia si trasferì a Lomina, il centro industriale e finanziario della nazione, perché il padre aveva trovato lavoro come contabile nella locale azienda della nettezza urbana e visto che la quercia, com'era prevedibile, aveva ormai compromesso la stabilità della loro casa.
Di farla tagliare se ne era parlato a lungo, ma il padre alla fine si era rifiutato di distruggere il "simbolo della vita di suo figlio" e confidava ancora di riuscire a comprare quel maledetto terreno nel quale prima o poi sarebbe riuscito a trasferirla.

 

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