Nicolas Redondo II è uno studente
universitario, nato a Paese, un luogo così insignificante da non
meritare nemmeno un nome. Figlio di Nicolas I, uno strampalato
inventore diventato ricco ideando il Pentariciclopoltigliatore
per l'Azienda della Nettezza Urbana di Lomina dove la famiglia si è
trasferita da qualche anno, trascorre le vacanze estive nel paese
natio facendo lunghe escursioni sui monti che circondano Paese.
Durante una di queste passeggiate conosce Francois Antoine Claudet,
uno dei padri della fotografia, che gli rivela di avere oltre
duecento anni e lo inizia ai misteri della Musica di Dio che
conferisce agli eletti, ossia ai pochi in grado di ascoltarla,
straordinari poteri.
Investito di una missione troppo grande per la sua giovane età,
Nicolas scoprirà come la Musica si sia rivelata per la prima volta a
Henri Purcell il più illustre compositore classico britannico e come
lui ne abbia poi trasferito i poteri al vecchio fotografo. Nicolas
imparerà a volare alla velocità della luce, a viaggiare nel
tempo. La sua nuova missione lo porterà a combattere contro feroci e
spietati terroristi, ma lo condurrà anche all'amore, fino a un
sorprendente finale.
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i primi capitoli del libro. |
Hic sunt leones è una favola dedicata a quegli adulti cui piace ancora
sognare.
Se devo pensare a un aggettivo per questo mio scritto, la prima parola
che mi viene in mente è leggerezza, quella caratteristica ben descritta
da Italo Calvino nelle Lezioni Americane e che pervade tutta l'opera di
Mozart.
Magia, religione,
avventura, humor e amore:
quanti sono i principali ingredienti di questo libro. Chissà se la ricetta è venuta
bene?
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del romanzo gratuitamente e giudicate voi. |
dal primo capitolo
Paese.
Quando nacque, suo padre piantò una quercia in giardino. Si trattava di
un'idea balzana perché era un piccolo appezzamento di terreno, appena
sufficiente a coltivare qualche pomodoro e il lattughino di cui era
ghiotta la loro tartaruga e che col passare degli anni non avrebbe
potuto far altro che minare le fondamenta della loro miserevole casa.
Ma il padre, Nicolas Redondo I, era un uomo di ampie vedute e,
nonostante a quarantanni fosse ancora un mediocre impiegato comunale,
confidava in un radioso futuro dove lui, diventato ricco con una delle
sue improbabili invenzioni, avrebbe potuto permettersi di acquistare il
terreno prospiciente il suo piccolo giardino, dove la quercia avrebbe
potuto prosperare indisturbata.
Questa, come tutte le sue altre fisime e stramberie, fu oggetto di
scherno e dicerie in paese, un paese così piccolo e isolato, che non
possedeva nemmeno un nome e che sulle mappe geografiche era indicato
semplicemente con il nome di Paese.
Paese, in realtà, non aveva nemmeno un centro degno di tale nome, perché
la Casa Comunale si ergeva isolata su una collinetta a sud e anche la
chiesa e la scuola si trovavano, geograficamente parlando, alla
periferia nord del piccolo agglomerato di case e cascine che costituiva
il paese.
Al centro del paese, anche se nessuno vi attribuiva alcun significato,
c’era una vecchia fontana scavata nella pietra con accanto una panchina
anch’essa ricavata dalla roccia, sulla quale, ogni tanto e solo nella
bella stagione, sostavano a chiacchierare gli anziani. Ma non si
trattava nemmeno di una piazzetta, ma solo di uno slargo all’incrocio
fra due vie.
Insomma Paese era per molti versi un luogo strano, un non luogo, sorto
senza alcun apparente disegno urbanistico o funzionale, in cui le case
erano separate l’una dall’altra da ampi appezzamenti coltivati.
I Paesani, infatti, erano per la maggior parte dediti all’agricoltura e
all’allevamento, se si escludevano un paio di commercianti, Nicolas
Redondo unico impiegato comunale, e i dipendenti della locale
cooperativa che si occupava di vendere quanto veniva prodotto in Paese
ai mercati generali di Lomina, la capitale economica della nazione, che
distava un paio di centinaia di chilometri.
La vita, l’economia e la demografia di Paese erano tutte qui.
E si sa, se il paese è piccolo, la gente mormora più facilmente. E di
Nicolas I, si diceva di tutto.
Impiegato modello, efficientissimo, sempre disponibile, Nicolas I,
nonostante il suo comportamento lavorativo irreprensibile, era malvisto
dai suoi concittadini perché se ne andava in giro con le braccia sempre
ingombre di cianfrusaglie per le sue invenzioni e nella sua insita
generosità, aveva realizzato per la comunità, a titolo completamente
gratuito, alcune innovazioni che per poco non avevano rischiato di
distruggere la Casa Comunale. Come quella volta che si era messo in
testa di dotarla di un impianto di energia eolica, sistemando una
vetusta pala da mulino sul tetto del già claudicante edificio pubblico,
senza tenere in debito conto che quella collina era oggetto di furiosi
venti notturni dei quali nessuno si era mai accorto prima.
La mattina dopo la pala e il tetto della Casa Comunale erano stati
trovati a più di tre chilometri dal Paese, dopo che avevano mietuto nel
corso della notte un intero campo di grano, ancora immaturo.
Purtroppo per lui, il campo apparteneva a Lurisio Aldeous, il più ricco
di Paese, un uomo solitario, avaro e per nulla bendisposto verso il
prossimo. Mi ripagherai di tutto, imbecille che non sei altro. Lavorerai
nei miei campi la notte, fintanto che non mi avrai ripagato del danno
subìto, gli aveva ingiunto il vecchio.
Nicolas I, aiutato solo dalla moglie, aveva allora dovuto improvvisarsi
carpentiere per riparare il tetto della Casa Comunale. Aveva passato tre
mesi d’inferno lavorando diciotto ore al giorno, fino quando il tetto
della Casa Comunale era tornato alla sua antica miseria e il debito con
Lurisio era stato saldato.
Quella notte lui e sua moglie Miranda avevano festeggiato la fine
dell’incubo e, sarà stato forse per la bottiglia di vino d’importazione
o per la pasta e fagioli piccante che riuscì loro quel che non era
riuscito in oltre quindici anni di matrimonio, concepire un figlio.
Nicolas II era nato in casa, in una fredda mattina di dicembre e la sua
venuta, insperata e inattesa, per poco non aveva causato la dipartita di
Miranda, ormai quarantenne, un donnino ossuto, ma che Nicolas I adorava
come fosse la Venere del Botticelli.
Nicolas II, per fortuna, aveva preso dal padre ed era cresciuto grande e
forte come un cavallo da tiro e, come il padre, aveva un'insana tendenza
a fantasticare. Se il padre aveva limitato il proprio campo d'azione ai
piccoli oggetti domestici o poco più, la sua più grande trovata
riguardava un impossibile sbucciapatate idraulico che riusciva a
spellare un tubero a fronte di un consumo di ottantaquattro litri
d'acqua, Nicolas II aveva deciso di non porre limite alcuno alla
provvidenza divina e le sue elucubrazioni avrebbero spaziato dall'arte
alla finanza, passando per quella che lui avrebbe un giorno chiamato
ingegneria sociale.
A dieci anni Nicolas II era già più alto di sua madre e aveva uno
sguardo fiero che incuteva timore in chi lo incontrava. Sapeva di essere
figlio di quello che tutti in paese consideravano un pazzo furioso ed
era quello il suo modo per distogliere le loro occhiate curiose e fra
loro ammiccanti.
Nicolas II, a differenza del padre, teneva per sé le proprie fantasie e
nessuno in famiglia immaginava che dietro a quello sguardo altero, nel
suo cranio incorniciato di folti e lunghi capelli neri, prosperasse un
tripudio di pensieri, invenzioni e fantasie degne di un Jules Verne.
Gli unici momenti in cui Nicolas II lasciava trasudare qualcosa era
quando scriveva i suoi lunghi componimenti scolastici.
È un ragazzo al quale non manca certo la fantasia, cara Miranda, aveva
detto la maestra, ma qualcuno gli dovrebbe spiegare che non è con quella
che riuscirà a mangiare in questo paese.
Ma per fortuna di Nicolas II, quando lui di anni ne aveva dodici, la
famiglia si trasferì a Lomina, il centro industriale e finanziario della
nazione, perché il padre aveva trovato lavoro come contabile nella
locale azienda della nettezza urbana e visto che la quercia, com'era
prevedibile, aveva ormai compromesso la stabilità della loro casa.
Di farla tagliare se ne era parlato a lungo, ma il padre alla fine si
era rifiutato di distruggere il "simbolo della vita di suo figlio" e
confidava ancora di riuscire a comprare quel maledetto terreno nel quale
prima o poi sarebbe riuscito a trasferirla.
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